Don Juan

Lord Byron

Don Juan

 

LIV

Sedicenne era intanto il giovinetto;
Alto e ben fatto, ancorché smilzo un poco:
Bello e vispo senz’essere un folletto,
Lo si venìa stimando a poco a poco
Un uomo quasi; e ciò con gran dispetto
Udìa la madre, che l’interno foco
Frenava a stento, perché a suo giudizio
L’esser precoce era anzi tutto un vizio.

LV

Fra le amiche sue molte, con gran cura
Scelte a cagion di lor pietà e saggezza,
Fu donna Giulia: dir di sua figura
Che fosse bella, non è dar contezza
D’ogni sua grazia, che era in lei natura,
Come all’oceano il sale, ai fior vaghezza,
Come a Venere il cinto, e l’arco a Cupido
(Ma questo paragone ultimo è stupido).

LVI

L’occhio di forma orïentale e nero
Della commista razza in lei fa fede,
Né ch’era il sangue suo tutto sincero,
Il che in Ispagna onta mortal si crede.
Quando cadde Granata e pel sentiero
Dell’esiglio Boabdìl sospinse il piede,
Non ogni suo parente indi si svelse;
Un’avola di lei restar prescelse.

LVII

Sposò un hidalgo (non so più il casato),
Che però sangue infuse ai discendenti
Men puro di quel ch’egli avea redato.
Grande corruccio ebber di ciò i parent;
Tanto severi essendo in questo lato,
Che fra lor si sposavano soventi,
Fra cugini e nipoti e zii talora,
Onde la razza in progredir peggiora.

LVIII

L’empio connubio ristorò la schiatta,
Le membra migliorò, se il sangue offese;
E da radice logora e disfatta
Novo rampollo e rigoglioso accese,
Nova prole non più sciocca e malfatta.
Bensì questo mi duole a far palese:
Quella dama al suo sposo alcun erede
Più bello assai che legittimo diede.

LIX

Comunque fosse, ogni bel padre ottene
Prole miglior poi sempre in tal famiglia,
Finché quella famiglia a scender venne
In un sol uom, ch’ebbe una sola figlia.
Costei la donna ch’io dirò divenne,
Donna Giulia (nessun certo error piglia),
Ch’era già maritata a questo punto,
Ed anni ventitré contava appunto.

LX

Nera avea gli occhi e grandi (io gli occhi adoro);
L’ardor, parlando, ne tenea represso,
Ma non così che in lor gentil decoro
Non mostrassero sdegno o amor più spesso;
Anco sovente era lo sguardo loro,
Dir non vorrei, d’arcane voglie impresso;
Forse era ver; ma d’onestà ripieno
Tosto il suo spirto le poneva in freno.

LXI

Inanellato sulla nobil fronte
Scendeale il crine, e aveva il ciglio aspetto
D’arco che il sol dipinge in orizzonte;
Avea le rose in volto, avea lo schietto
Lume di gioventù, che spesso impronte
Prendea di foco, come a lei nel petto
Il fulmine avvampasse. E grande ell’era,
Qual dee di belle donne esser maniera.

LXII

Or da qualch’anno sposa ell’era ad uno
Dei molti che a cinquanta prendon moglie:
Ma specie dove il sol tanto è importuno,
D’uom che da solo i cinquant’anni accoglie,
Meglio son due di venticinque ognuno.
Quindi avvien che ogni donna, ancor di voglie
Modiche e casta, ad uno sposo adocchi
Che tocchi i trenta, o meglio non li tocchi.

LXIII

Convien pur dir che il fatto è miserando,
Ch’ivi sia tanto libertino il sole,
Che tranquilla, scottando e biscottando,
Dell’uom non lascia la caduca prole:
Né viver giova in preci o digiunando,
Ché frale è il corpo e l’alma ceder suole;
Quindi ov’ei più saetta ardenti raggi
Seguon più spesso al talamo gli oltraggi.